La vicenda umana riguarda un uomo e la scoperta della sua malattia: una neoplasia al polmone, quale conseguenza diretta del consumo di sigarette, quantificato in ben due pacchetti al giorno per oltre trent’anni.
La vicenda giudiziaria muove a partire da tale scoperta e dalla richiesta dell’uomo di vedere riconosciute le responsabilità dei Monopoli di Stato e di una delle più grandi aziende mondiali produttrici di tabacco, al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti.
I primi due gradi di giudizio danno tuttavia torto al fumatore, ritenendo che egli avrebbe potuto evitare, usando l’ordinaria diligenza, la condizione di dipendenza fisica e psicologica irreversibile da fumo, che l’ha poi condotto alla morte nel corso della causa.
I parenti dell’uomo non si arrendono e decidono di continuare la battaglia iniziata dal loro caro nei confronti del produttore di sigarette e dei Monopoli di Stato, rivolgendosi alla Cassazione. In particolare, la tesi da essi sostenuta è che non sarebbe sufficiente «una generica conoscenza del fatto che il fumo faccia male alla salute», essendo viceversa necessario dimostrare che il fumatore abbia iniziato a fumare, senza poi smettere, pur essendo a conoscenza del rapporto specifico fra carcinoma polmonare e sigarette.
Ma anche la Cassazione respinge il ricorso, incentrandosi sulla circostanza che, in materia da danni da fumo, la causa va identificata in «un atto di volizione libero, consapevole ed autonomo» da parte di un «soggetto dotato di capacità di agire», che sceglie di fumare nonostante la notoria nocività del fumo.
In questa vicenda, dunque, a giudizio della Cassazione la causa esclusiva dell’evento dannoso è da ricercarsi nella condotta del fumatore, che «ha fumato fin dalla più giovane età, per oltre trent’anni, in quantità smodata e a dispetto della raccomandazione di astenersi, impartitagli dal medico curante».
Insomma,per la Cassazione, chi è causa del suo mal...